Differenze tra le versioni di "Anatomia di una penna stilografica"
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La penna stilografica, nota in ambito anglosassone come ''fountain pen'' sarebbe più propriamente qualificabile in italiano come ''penna a serbatoio''. In ambito internazionale infatti viene chiamata ''[[stilographic]] pen'' la penna a stilo, quella che in Italia è più nota come [[Rapidograph]] dal nome del modello più diffuso, vale a dire la penna basata su in sottile tubicino (lo stilo, appunto) usata principalmente nel disegno tecnico (prima di venire sostituita da plotter e stampanti), la cui versione più diffusa venne creata negli anni '40 dalla [[Rotring]]. | La penna stilografica, nota in ambito anglosassone come ''fountain pen'' sarebbe più propriamente qualificabile in italiano come ''penna a serbatoio''. In ambito internazionale infatti viene chiamata ''[[stilographic]] pen'' la penna a stilo, quella che in Italia è più nota come [[Rapidograph]] dal nome del modello più diffuso, vale a dire la penna basata su in sottile tubicino (lo stilo, appunto) usata principalmente nel disegno tecnico (prima di venire sostituita da plotter e stampanti), la cui versione più diffusa venne creata negli anni '40 dalla [[Rotring]]. | ||
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La penna stilografica, nota in ambito anglosassone come fountain pen sarebbe più propriamente qualificabile in italiano come penna a serbatoio. In ambito internazionale infatti viene chiamata stilographic pen la penna a stilo, quella che in Italia è più nota come Rapidograph dal nome del modello più diffuso, vale a dire la penna basata su in sottile tubicino (lo stilo, appunto) usata principalmente nel disegno tecnico (prima di venire sostituita da plotter e stampanti), la cui versione più diffusa venne creata negli anni '40 dalla Rotring.
Caratteristica distintiva di una stilografica era pertanto quella di associare ad un pennino per scrivere un serbatoio di inchiostro che consentisse sessioni di scritture non interrotte dalla necessità di re-intingere il pennino nel calamaio. La penna stilografica come tale nasce nella sua forma attuale alla fine del 1800, nonostante esistano diversi predecessori più o meno funzionali. Il successo nel creare finalmente uno strumento affidabile che abbinasse un serbatoio di inchiostro ad un pennino per scrivere viene spesso fatto risalire all'introduzione dell'alimentatore multicanale brevettato da Lewis Edson Waterman nel 1884. In realtà all'epoca esistevano già diversi produttori che avevano costruito delle "penne a serbatoio" pienamente utilizzabili capaci di un corretto funzionamento, i cui elementi essenziali restano gli stessi ancora oggi.
Alcune parti sono presenti da sempre in ogni penna stilografica: l'insieme del pennino e dell'alimentatore (detto gruppo pennino), la sezione (la parte finale della penna che tiene insieme pennino ed alimentatore), il corpo della penna, che fa le veci o contiene il serbatoio, ed il cappuccio (assente solo sui cosiddetti stilofori, vale a dire le penne da tavolo). Si sono raccolte le foto di queste varie parti in una serie di gallerie raggiungibili a partire da questa pagina.
Pennino
Il pennino (nib nel mondo anglosassone) è da sempre una delle parti più importanti di una stilografica, e svolge il compito finale di portare l'inchiostro sulla carta. I pennini da stilografica derivano da quelli da intinzione usati in precedenza con la cannuccia; la differenza principale è che essendo le stilografiche oggetti molto più costosi col pennino continuamente in contatto con l'inchiostro, questi vennero tradizionalmente realizzati in oro (con diverse carature, anche se la più comune resta quella a 14 carati, seguita da quella a 18) per avere una maggiore resistenza alla corrosione degli inchiostri dell'epoca.
Quando con l'evoluzione della tecnologia diventò possibile creare pennini di acciaio resistenti alla corrosione, il maggiore ostacolo alla loro diffusione divenne quello del marketing, e tutt'oggi infatti si tende a pensare ad una penna con pennino in oro come di valore superiore, nonostante che sul piano tecnico questo sia probabilmente inferiore. L'oro, sia pure irrobustito dai metalli aggiunti nelle leghe utilizzate per produrre pennini, è un metallo molto malleabile, e per questo un pennino d'oro è soggetto a piegarsi in modo permanente molto più facilmente di qualunque pennino in acciaio ed in generale finisce per l'essere nettamente meno robusto.
Un pennino "d'oro" comunque non può essere interamente composto d'oro (cioè a 24 carati); come accennato questo materiale è estremamente malleabile,[1] per cui in genere viene irrobustito mescolandolo come con altri metalli per ottenere leghe a 14 carati, che sono le più comuni, o a 18 carati, usate per dare maggiore preziosità alla penna, ma in genere meno robuste. Leghe a maggior contenuto sono presenti in alcune penne moderne (21 carati) e negli anni '70 in Giappone si è arrivati fino ai 23 carati.[2] Le penne antiche sono comunque per la maggior parte dotate di pennini in oro a 14 carati, i 18 carati sono stati introdotti solo dove, come in Francia, per motivi legali non si poteva qualificare come d'oro un oggetto con caratura inferiore a questa.
Nel periodo della seconda guerra mondiale però, con le ristrettezze causate dalle esigenze belliche, l'uso dell'oro per i pennini venne notevolmente ridotto ed in certi paesi, come la Germania ed il Giappone, anche esplicitamente vietato. In quel periodo si ebbe un fiorire di leghe di acciaio di vario tipo, spesso ribattezzate, specie in Italia, con nomi fantasiosi ed altisonanti, e la sperimentazione di materiali alternativi, come il palladio, che oggi sembrano tornati di moda. Ma l'uso dell'acciaio per i pennini non si può certo far originare dalle ristrettezze della guerra. Infatti esso venne adottato da alcuni produttori, in particolare quelli orientati alla fascia bassa del mercato, ben prima della guerra e per semplici motivi economici. Anche in quel caso però spesso si cercava di "impreziosire" il metallo con una doratura.
Indipendentemente dalla robustezza della lega utilizzata per produrlo, un pennino deve comunque avere una punta opportunamente rinforzata, in quanto l'usura sarebbe eccessiva anche per l'acciaio. La punta deve sfregare per chilometri e chilometri sulla carta, e per avere un pennino durevole questa viene prodotta utilizzando un materiale molto più duro. In questo caso la scelta più comune è quella di una lega di iridio, e questo è il motivo per cui spesso, per indicare lo stato di usura della punta di un pennino, si fa riferimento appunto alla quantità di iridio presente sullo stesso, anche se in realtà detta punta può essere stata realizzata anche con altri metalli (un'altra scelta è ad esempio quella dell'osmio o varie combinazioni di entrambi).
In genere la punta del pennino viene realizzata fondendo direttamente sul posto una pallina di iridio (o materiale equivalente), questa poi viene tagliata in due dividendo la punta nelle due ali (tines), per la realizzazione del taglio (slit) attraverso cui deve passare l'inchiostro proveniente dall'alimentatore, necessario al funzionamento della stilografica, e levigata opportunamente per offrire una migliore scorrevolezza. In genere poi, sia per permettere la fuoriuscita dell'aria dal conduttore, che per rinforzare la parte terminale del taglio delle ali, il pennino viene dotato del cosiddetto foro di areazione, anche se in molti casi il solo scopo è quello di una maggiore robustezza meccanica e flessibilità. Alcuni pennini inoltre, come il Triumph Nib della Sheaffer, o il pennino centrale della Omas 361, sono appositamente progettati e lavorati per poter scrivere da entrambi i lati, compreso quindi anche il cosiddetto lato secco.
I pennini vengono classificati classicamente[3] in base ad una serie di numeri che ne esprimono le dimensioni, benché più o meno tutti i produttori abbiano adottato cifre simili (con valori che vanno dallo 00 al 12) i numeri non hanno un riferimento ad una precisa misura, ma sono semplicemente una indicazione relativa (un pennino #4 è in genere più grande di un #2 dello stesso produttore), e diversa fra un produttore e l'altro. Molto spesso (vedi ad esempio i numeri di Waterman e quelli di Montblanc) questi numeri venivano utilizzati anche per identificare i diversi modelli di una linea di produzione.
Sigla | Dimensione |
---|---|
EF | Extra-fine |
F | Fine |
M | Medio |
O | Medio-Obliquo |
B | Largo (Broad) |
BB | Doppia larghezza |
BBB | Tripla Larghezza |
OF | Obliquo fine |
OB | Obliquo largo |
OBB | Obliquo doppio |
M | Musicale (Music nib) |
KF | Kugel fine |
KM | Kugel medio |
KB | Kugel largo |
Un'altra possibile classificazione è invece quella effettuata sulla base della dimensione ed eventualmente la forma della punta del pennino stesso (fine, media, larga, ecc.). Anche in questo caso non esiste una standardizzazione universale adottata da tutti, anche se molti produttori hanno finito per utilizzare delle sigle abbastanza uniformi fra loro, come quelle riportate nella tabella a fianco, buona parte delle quali sono in uso ancora oggi.
Di nuovo si tratta di indicazioni relative, e non adottate da tutti (ad esempio la Waterman nel 1927 introdusse una classificazione basata su un codice di colori), per cui ci possono essere delle notevoli differenze fra pennini marcati allo stesso modo da aziende differenze; ad esempio per le diverse modalità di scrittura nei rispettivi paesi in genere un medio giapponese equivale ad un fine europeo.
Sempre nell'ambito della realizzazione della punta, oltre ai riferimenti alle dimensioni, sono state adottate delle nomenclature specifiche per indicare in maniera generica alcune versioni particolari di pennini, dotati di caratteristiche specifiche determinate appunto dalla forma della loro punta, per questa ulteriore classificazione si rimanda alle pagine del seguente elenco che li descrivono uno per uno:[4]
- pennino stub,
- pennino italico o pennino tagliato,
- pennino corsivo italico,
- pennino rotondo o kugel nib,
- pennino obliquo,
- pennino musicale.
Una terza possibile classificazione, ancora meno uniforme in quanto alla terminologia utilizzata, e che spesso non ha alcun riferimento ufficiale nella produzione delle varie aziende è quella relativa alla maggiore o minore flessibilità del pennino, una classificazione che inoltre tende a perdersi con la produzione moderna, dominata da pennini rigidi. Uno dei problemi delle stilografiche infatti (considerato uno svantaggio nei confronti della sfera, e quando risolto usato come fattore di promozione per le proprie penne) è quello che una pressione eccessiva sul pennino può nuocere allo stesso, cosa che rende abbastanza difficoltoso il ricalco.[5] Per questo una delle poche terminologie coerenti (almeno nel mondo anglosassone) è quella dei cosiddetti pennini da contabile (accountant nib), chiamati spesso anche Manifold, molto rigidi e duri, utilizzabili per questo anche per lavori contabili dove le copie a carta carbone erano la norma.
Non esistendo riguardo la flessibilità una terminologia ufficiale, (anche se alcune marche, come la Eversharp marcavano esplicitamente alcuni fra i propri pennini flessibili con la scritta Flexible) quella adottata nasce dalle convenzioni stabilite dai collezionisti, ed ha quindi anche un ampio margine di aleatorietà. Si è pertanto deciso, in maniera del tutto arbitraria, di fare riferimento alle seguenti definizioni:[6]
- molleggiato pennino che risponde alla pressione, ma senza creare una significativa variazione del tratto, molti pennini moderni dichiarati flessibili rientrano in questa categoria.
- demi-flex (semi-flessibile) pennino che risponde alla pressione con una significativa variazione del tratto, ma che usato normalmente non presenta variazioni significative.
- flexible (flessibile) pennino che produce una variazione di tratto anche nella normale scrittura, in risposta alle piccole variazioni di pressione in essa esercitate.
- wet noodle (super-flessibile) pennino estremamente flessibile, che deve essere usato con cura anche nella normale scrittura, portando a variazioni di tratto molto accentuate alla minima pressione.
Infine essendo un elemento essenziale della stilografica, il pennino ha conosciuto alcune variazioni costruttive da parte delle aziende. Inizialmente si è avuta una differenziazione portata avanti principalmente nei materiali costruttivi del corpo e della punta, ma fino agli anni '30 è sempre rimasto praticamente identico nelle forme e nelle funzioni. La prima significativa diversificazione è stata quella introdotta dalla Eversharp nel 1932, con il pennino a flessibilità variabile "Adjustable Point" dotato di una ghiera scorrevole. Ma i cambiamenti più significativi sono iniziati nel 1941, con l'uscita ufficiale sul mercato della Parker 51, che segnò il debutto del pennino carenato. Da allora si ebbero evoluzioni come il pennino conico della Triumph, le varie versioni di pennino alato dalla Wing-flow in poi, o il particolare "inlaid nib" introdotto con la PFM.
Alimentatore
Benché sia probabilmente la parte di minor rilievo nell'aspetto estetico di una penna, l'alimentatore (chiamato anche conduttore, e feeder nel mondo anglosassone) è in realtà il cuore del funzionamento di una stilografica, e sul piano tecnico è probabilmente la componente più importante della stessa. E' infatti l'alimentatore a realizzare il delicato equilibrio di forze che consente il corretto passaggio dell'inchiostro dal serbatoio al pennino che lo deposita sul foglio di carta, ed una penna stilografica scrive bene proprio in quanto il suo alimentatore svolge correttamente il proprio compito.
L'importanza che ha questo componente emerge con ancora più evidenza dal fatto che la più importante invenzione di Lewis Edson Waterman, quella che porta molti a ritenerlo (con una certa esagerazione) il padre della stilografica, è proprio relativa alla costruzione dell'alimentatore. Certo è che ben prima di concentrarsi su materiali e sistemi di caricamento alla fine del 1800 i produttori competevano (ed investivano i loro sforzi di ricerca) proprio su questo elemento, che caratterizzava le loro penne (si pensi ad esempio al Lucky Curve della Parker o allo Spoon feed della Waterman) dato che un alimentatore ben funzionante era allora quello che poteva fare portare al successo o al fallimento.
E benché in seguito il rilievo dell'alimentatore, almeno nel materiale promozionale, sia diminuito a scapito di altre parti e caratteristiche tecniche (e soprattutto rispetto a quelle stilistiche) esso resta comunque una delle parti essenziali del funzionamento di una stilografica, ripreso in più casi dai produttori (come per il Magic Feed della Eversharp o il tintomatic della Lamy).
A parte le costruzioni ancora molto primitive presenti fino ai primi anni del 1900, che prevedevano ancora per alcune aziende (come Swan e Onoto) la presenza del cosiddetto alimentatore superiore la forma canonica dell'alimentatore come elemento posto al di sotto del pennino si è andata sviluppando in maniera abbastanza rapida.
Inizialmente si trattava semplicemente di un cilindro di ebanite opportunamente smussato nella parte anteriore posta sotto il pennino per lasciare spazio per la scrittura, dotato sulla parte superiore del "canale" di alimentazione attraverso il quale l'inchiostro arriva dal serbatoio al pennino. Le prime variazioni si ebbero proprio nella costruzione del canale, e nella aggiunta di ulteriori scanalature all'interno per favorire il passaggio dell'inchiostro per capillarità. Attraverso lo stesso canale, anche se in seguito sono stati previsti anche possibili percorsi alternativi, scorre l'aria che subentra all'inchiostro che esce dal serbatoio della penna.
Le prime variazioni alla semplice forma cilindrica smussata avvennero per risolvere il problema, allora molto pressante, ma che si ripresenta anche oggi, di consentire il blocco dell'afflusso di inchiostro quando la penna non viene usata per evitare perdite nel cappuccio. Per questo vennero adottate diverse soluzioni, con altrettanti brevetti come il famoso Lucky Curve della Parker, in cui la parte posteriore dell'alimentatore veniva curvata fino a farle toccare la parete del serbatoio, favorendo così (almeno secondo le rivendicazioni del progetto) il riassorbimento dell'inchiostro.
Per lo stesso tipo di problema vennero prodotte altre soluzioni, come la creazione di opportune tasche laterali a fianco del canale (come nello Spoon feed di Waterman). Negli anni poi è proseguito sviluppo di meccanismi che, o con la presenza di incisioni in forme più o meno frastagliate della parte esterna come nello Spear-head di Parker o le varianti del comb feed creato da August Eberstein (brevetto nº US-750271)) come il Ladder feed della Swan, o con la realizzazione alette, sacche, incisioni, canali ed altre configurazioni, consentissero all'eventuale inchiostro in eccesso di accumularsi opportunamente nelle varie pieghe, ed evitare accumuli pericolosi sul pennino, in particolare per compensare gli sbalzi di pressione dovuti all'aria presente nel serbatoio, problema diventato ancora più rilevante con l'affermarsi dei viaggi aerei. Una galleria di fotografie si trova su questa pagina.
Sezione
Si indica con "sezione" (section nel mondo anglosassone) il blocco finale della punta della penna, quello in cui sono inseriti pennino ed alimentatore. In figura sono illustrati i tre tipi più comuni di sezione presenti su penne antiche, corrispondenti a tre diversi tipi di caricamento; per maggiori dettagli su questa tipologia si rimanda alla pagina su "tipi di sezione e riparazione". Una ulteriore nomenclatura relativa alla sezione è quella del cosiddetto "collare" ("nipple" nel mondo anglosassone) presente solo su alcuni tipi di sezione (nella figura i tipi 1 e 2) usate su penne il cui sistema di caricamento richiede la presenza di un sacchetto, che viene appunto incollato sul collare.
La sezione è presente su quasi tutte le stilografiche eccettuato alcuni design particolari come nella PFM, in cui il pennino è direttamente intarsiato sulla sezione per poi sporgervi, o come nella Parker T1 o nella Murex della Pilot in cui il pennino è la prosecuzione del corpo metallico. A queste eccezioni specifiche si aggiungono poi tutte le safety, che per modalità costruttiva non hanno proprio una sezione, essendo il pennino ritraibile all'interno del corpo della penna.
La sezione, oltre a servire per tenere in contatto pennino ed alimentatore, è anche il più comune punto di impugnatura della penna in fase di scrittura, e per questo presenta in genere una parte svasata che consente una presa più sicura. In alcuni casi, come nella Parker 75, questa viene anche opportunamente lavorata o sagomata con forme ergonomiche (triangolari, nel caso citato) per offrire specifiche superfici di appoggio per le dita che facilitino l'impugnatura.
A parte questo, la sezione è in genere la parte della penna tradizionalmente meno soggetta di per sé ad innovazioni di carattere sia tecnico che stilistico, anche se esistono modelli particolari che presentano alcune caratteristiche specifiche come la citata Parker 75 con la ghiera per il posizionamento del pennino o la prima serie della Crest con la filettatura sulla cima della sezione stessa o le speciali sezioni con finestrella trasparente (il Visulated della Sheaffer) usate per rendere visibile il livello di inchiostro anche con penne dotate di un sistema di caricamento che in genere non lo consente (nel caso si trova ad esempio nelle Balance e nelle Doric con caricamento a levetta).
Corpo o Fusto
Il fusto, o corpo, (barrel nel mondo anglosassone) è in genere la parte di maggiore dimensione di una penna stilografica. Nelle penne moderne con caricamento a cartuccia non ha praticamente altro ruolo che quello di fornire un supporto per l'uso della penna e coprire la cartuccia, ma inizialmente, quando le penne erano caricate a contagocce, veniva utilizzato direttamente come serbatoio dell'inchiostro. Questo ruolo viene svolto ancora oggi con alcuni sistemi di caricamento come quello a stantuffo o a siringa rovesciata, nel qual caso è spesso dotato di parti trasparenti (finestrelle o intere sezioni) per consentire la visualizzazione del livello dell'inchiostro.
Anche quando l'inchiostro non è contenuto direttamente nel corpo, o in una parte dello stesso, ma in un serbatoio separato, come per tutti i sistemi di caricamento che prevedono l'uso di un sacchetto in gomma, il corpo svolge comunque il ruolo di contenitore sia per quest'ultimo che per il meccanismo di caricamento stesso. Inoltre, specialmente nelle produzioni fino agli anni '40, era tipico trovarvi le incisioni del marchio e del nome del produttore (oltre che degli eventuali brevetti della penna).
Inizialmente, anche per la maggiore facilità di lavorazione, era realizzato in forma cilindrica con estremità piatte (il cosiddetto flat top) ma in seguito all'evolversi delle tendenze stilistiche si è passati a forme più affusolate (con la nascita del cosiddetto stile streamlined). Inoltre con l'evolversi delle tendenze stilistiche dalla ordinaria sezione rotonda si è passati a forme sfaccettate, triangolari, quadrate, ottagonali, dodecagonali, ecc.
Oltre al differenziarsi per le varie forme adottate dai produttori, il corpo ha subito anche l'evoluzione nell'uso dei materiali impiegati nella costruzione delle stilografiche, di cui appunto costituisce il componente più grande. Agli albori delle stilografiche era prevalentemente costruito in ebanite come il resto della penna, materiale che garantiva, dovendo servire da serbatoio dell'inchiostro, la necessaria resistenza chimica.
Con lo sviluppo della tecnologia sono stati utilizzati poi tutti gli altri materiali, a partire dal metallo (le prime furono probabilmente le Wahl Metal Pen), alle prime resine artificiali come bachelite, galalite e celluloide, per passare negli anni '40 alle più comuni resine plastiche in uso ancora oggi. Una galleria di fotografie si trova su questa pagina.
Cappuccio
A parte alcuni design particolari (la Pullman della Météore, la Asterope della Aurora e la Capless della Pilot) il cappuccio (cap nel mondo anglosassone) resta uno dei componenti essenziali di una stilografica. Il cappuccio svolge sostanzialmente due funzioni, da una parte fornisce la protezione del pennino nei confronti di urti accidentali verso l'esterno, dall'altra protegge l'esterno dal contatto accidentale col pennino (e soprattutto con l'inchiostro portato dallo stesso) e da eventuali perdite. Una galleria di foto di diversi tipi di cappucci può essere trovata qui.
Dal punto di vista tecnico sul cappuccio si sono applicate moltissime invenzioni, quasi sempre relative alle modalità con cui lo si può aprire o chiudere (a incastro, a vite, a scatto, oggi anche magnetico) e talvolta anche alle modalità con cui si può inserire sul fondo della penna per equilibrare il peso o le dimensioni della stessa, come nel caso della Elite della Pilot (ma esistono molti precursori) in cui per l'uso della penna era necessario apporre il cappuccio sulla stessa in quanto questo costituiva una estensione necessaria del corpo.
Un secondo ruolo svolto dal cappuccio è quello di mantenere ben circoscritto, a penna chiusa, l'ambiente intorno al pennino, in modo che l'inchiostro presente su di esso da una parte non si secchi (provocando una difficoltà di riavvio) ma neanche subisca sbalzi di pressione che possono favorire fuoriuscite di inchiostro. Per questo esistono sia cappucci ventilati (con la presenza di forellini di areazione) che cappucci completamente sigillanti. In particolare agli inizi del 1900, per garantire dalle perdite di inchiostro, iniziò ad essere introdotta come parte costitutiva di molti cappucci la presenza del cosiddetto controcappuccio, un secondo cappuccio interno (significativi i brevetti nº US-764227 e nº US-1028382), che racchiude la parte su cui si abbocca la sezione e la isola dal resto del cappuccio, garantendo la tenuta dell'inchiostro. Talvolta questo stesso elemento viene anche usato come componente di blocco nel montaggio della clip, che può essere montata ad anello sullo stesso, o tenuta incastrata fra cappuccio e controcappuccio tramite una fessura laterale.
Il cappuccio inoltre costituisce spesso un elemento caratteristico per il design e le linee di una penna, e può essere oggetto delle più varie decorazioni. Fra queste un elemento comune, molto usato e tutt'oggi presente sulla gran parte dei cappucci, sono le verette, o i vari anellini, il cui scopo originario era peraltro di natura strettamente pratica. Il bordo del cappuccio infatti è una delle parte più stressate e soggette a rischio di rottura di una penna, e l'uso originario (vedi brevetto nº US-662796) di verette e bande metalliche era appunto quello di rinforzare il suddetto bordo, e solo in un secondo tempo queste hanno assunto il carattere di elemento decorativo.
Storicamente i primi cappucci sono stati realizzati con chiusura a frizione (quelli che nel mondo anglosassone vengono definiti genericamente slip cap), col cappuccio che si incastra sul corpo. Di questo tipo di scelta esistono diverse varianti, a seconda delle modalità con cui avviene l'incastro; le due classi principali sono i cosiddetti cone cap (cappuccio a sezione conica) in cui la superficie di incastro è un tronco di cono, ed i cosiddetti straight cap (cappuccio a sezione cilindrica) in cui la superficie di incastro è cilindrica, fra questi ultimi si distinguono poi i cosiddetti tapered cap (cappuccio conico o affusolato) in voga alla fine dell'800.
Ai cappucci ad incastro, che soffrono, specie nella versione conica, di problemi di usura delle superfici con perdita di tenuta, sono seguiti, con una tendenza affermatasi a partire dagli inizi del '900, i cappucci con chiusura a vite (threaded cap) che ancora oggi sono fra i più diffusi. Un ritorno dei cappucci ad incastro si è avuto negli anni '40 con l'introduzione dei cappucci in metallo chiusi a frizione su appositi anellini (tendenza introdotta dalla Parker 51).
Verso la fine degli anni '40 è infine iniziata la diffusione dei primi cappucci con chiusura a scatto (una delle prime aziende ad averli utilizzati è stata la Matador con il modello Matador-Click del 1949) divenuti in seguito molto comuni e tutt'ora in ampia diffusione. In questo caso la qualità del meccanismo è essenziale per garantire nel lungo termine il mantenimento della chiusura del cappuccio. Una galleria di fotografie si trova su questa pagina.
Fermaglio
Benché le prime stilografiche non fossero dotate di fermaglio (clip nel mondo anglosassone) ed esistano ad esempio opportune custodie da tasca per le stesse (sono molto tipiche quelle della Swan) l'uso del fermaglio (posto in genere sul cappuccio) si è affermato in breve tempo come un elemento essenziale per consentire un semplice aggancio della penna alla tasca della camicia o della giacca, diventando una delle componenti più rilevanti, presenti sulla stragrande maggioranza delle penne.
Oltre ai primi modelli più antichi, quando ancora l'uso del fermaglio non si era affermato, fanno in genere eccezione alla sua onnipresenza le penne da signora, dotate di anellino e catenella per essere portate come una collana, o le penne da borsetta da tenere in una tasca della stessa, in genere di piccole dimensioni. Altra eccezione sono le penne da scrivania, che non lo utilizzano essendo posizionate nel loro alloggiamento sulla base dello stiloforo.
Come per gli altri elementi che compongono la stilografica, il fermaglio è diventato assai presto un elemento distintivo della penna, andando spesso oltre il suo stretto significato tecnico per diventare un elemento di riferimento stilistico, come la clip a freccia della Parker ad oggi ancora elemento distintivo dell'azienda, o la forma che richiama il becco di pellicano usata sulle Pelikan. Per non parlare poi di esigenze stilistiche indirette, come quelle imposte dai regolamenti militari dell'esercito americano, che vietando lo sporgere della penna dal taschino han comportato una particolare conformazione delle stesse.
Ma se nella storia della stilografica la clip si è distinta principalmente come elemento stilistico, essa ha avuto comunque anche un ruolo non trascurabile sul piano tecnico, a partire dai vari metodi di montaggio della stessa (come il montaggio ad anello), o agli accorgimenti per facilitarne l'introduzione nel taschino (la Roller Clip della Eversharp), per bloccare l'avvitamento del cappuccio (il Lox-Top della Chilton) o per bloccare la clip sulla giacca (il fermaglio a gancio della Novum). Una galleria di fotografie si trova su questa pagina.
Fondello
Ancorché non sia altrettanto diffuso e comune come gli altri elementi trattati finora, molti modelli presentano, in genere associato al loro meccanismo di caricamento, un fondello che copre la parte posteriore (intesa rispetto al pennino) del corpo della penna. Si tratta di un elemento non sempre presente, in quanto per molte penne la terminazione posteriore fa semplicemente parte del fusto della penna. Una galleria di foto di diversi tipi di fondello può essere trovata qui.
In vari casi un fondello è presente solo per motivi estetici e decorativi e può riportare a sua volta decorazioni specifiche o iscrizioni, come il numero del modello, ma è fisso. In altri casi serve per coprire l'accesso al sistema di caricamento (è comune nel caricamento a pulsante di fondo) e può anche essere staccato, in genere svitandolo per accedere al meccanismo, in questo caso però si parla più propriamente di blind cap. Infine il fondello può costituire direttamente una parte del sistema di caricamento stesso (per caricamenti come lo stantuffo o la siringa rovesciata) in cui in genere riveste il ruolo della parte del dispositivo meccanico (che in ambito anglosassone viene denominato knob e che più propriamente potrebbe essere indicato come pomello o manopola) su cui si deve agire per attivare il caricamento.
Note
- ↑ con malleabile (vedi la voce di Wikipedia) si intende un materiale molto morbido e facile da deformare senza perdere le sue proprietà meccaniche, in sostanza il contrario esatto di resistenza e flessibilità; l'oro è uno dei materiali più malleabili che esistano.
- ↑ ma non esiste, a parte le esigenze di marketing, nessuna ragione tecnica per spingersi a questi livelli, che comportano comunque leghe meno resistenti.
- ↑ per classicamente si intende facendo riferimento al periodo iniziale della diffusione della penna stilografica, questo tipo di classificazione oggi è praticamente scomparso.
- ↑ alcuni esempi di come si possano classificare le punte li trovate qui.
- ↑ oggi il problema non sussiste quasi più con la diffusione del digitale, ma non era banale quando le copie dovevano essere fatte a ricalco con la carta carbone.
- ↑ si è fatto riferimento alle definizioni di Davis Nishimura, come riportate in questo articolo pur non seguendole completamente.
Riferimenti esterni
- [1] Articolo sui pennini